Mete che non lo erano

13.02.20 03:08 AM Commenti Di Lorenzo

Il periodo tra dicembre e febbraio, per quel che mi riguarda, è il peggiore dell'anno. Non perchè sia il tipo di motociclista che stacca l'assicurazione, sia chiaro. Anzi il Tiger è sempre pronto a partire, poi le Anakee son pure M+S quindi chi mi ferma più. Il punto è che, nonostante il riscaldamento globale ci stia dando una mano in questo senso, oggettivamente sono periodi freddi e soprattutto (almeno dalle mie parti) con le strade piene di sale.



Ci sono tuttavia delle domeniche particolarmente belle e particolarmente prive di impegni, dove il richiamo della montagna si fa sentire dentro come l'eco degli ululati per un branco di lupi. In una di queste tiepide domeniche di gennaio mi son deciso a tentare la scalata verso un luogo che non frequentavo da quasi due decenni: il Monte Generoso.
 

Situato al confine tra Italia e Svizzera, svetta con i suoi 1700 metri di quota e le sue pareti verticali, facilmente riconoscibili anche a chilometri di distanza.


Armato del fedele Garmin e di un abbigliamento a prova di Nordkapp (di cui mi pentirò strada facendo, visti i 18 gradi) sono partito alla volta del piazzale panoramico, di cui la mia mente di bambino ricordava solo alcune immagini sfocate. La scalata si è rivelata da subito piuttosto complessa, per via della totale mancanza di corrispondenze tra la traccia del navigatore e le indicazioni stradali, che conducono al piazzale dei parcheggi ma da cui è impossibile proseguire se non a piedi. Dopo un paio di deviazioni fallimentari nelle vallate laterali navigando letteralmente a vista verso la cima, facilmente riconoscibile dalla gigantesca "pigna" in vetro e cemento di recente costruita ad opera di Mario Botta, mente e spirito si sono arrese all'evidenza dei fatti: non avrei potuto raggiungere la mia meta, quantomeno su due ruote. Ma una così bella giornata non può finire con un fallimento e un rapido sguardo al GPS è sufficiente per decidere la nuova rotta, verso Mendrisio a fondovalle e poi di nuovo a salire lungo la Val Mara verso il Rifugio Venini per godersi il paesaggio. 

Salendo di quota la temperatura scende e qualche chiazza di neve inizia a fare capolino, mentre la totale mancanza di traffico e di altri motociclisti aumenta il piacere del viaggio fino in cima. Armato del fedele Garmin e di un abbigliamento a prova di Nordkapp (di cui mi pentirò strada facendo, visti i 18 gradi) sono partito alla volta del piazzale panoramico, di cui la mia mente di bambino ricordava solo alcune immagini sfocate. La scalata si è rivelata da subito piuttosto complessa, per via della totale mancanza di corrispondenze tra la traccia del navigatore e le indicazioni stradali, che conducono al piazzale dei parcheggi ma da cui è impossibile proseguire se non a piedi. Dopo un paio di deviazioni fallimentari nelle vallate laterali navigando letteralmente a vista verso la cima, facilmente riconoscibile dalla gigantesca "pigna" in vetro e cemento di recente costruita ad opera di Mario Botta, mente e spirito si sono arrese all'evidenza dei fatti: non avrei potuto raggiungere la mia meta, quantomeno su due ruote. 



Ma una così bella giornata non può finire con un fallimento e un rapido sguardo al GPS è sufficiente per decidere la nuova rotta, verso Mendrisio a fondovalle e poi di nuovo a salire lungo la Val Mara verso il Rifugio Venini per godersi il paesaggio. Salendo di quota la temperatura scende e qualche chiazza di neve inizia a fare capolino, mentre la totale mancanza di traffico e di altri motociclisti aumenta il piacere del viaggio fino in cima. Dal rifugio il panorama è qualcosa di spettacolare.

Lorenzo

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